Un percorso interattivo negli orizzonti geografici, temporali e politici che hanno influenzato la definizione di un nuovo canone iconografico per la Trasfigurazione di Cristo tra XI e XIV secolo. A partire dai contributi di Guglielmo Matthiae e dai suoi materiali di studio conservati presso la fototeca Zeri di Bologna, una selezione di opere esemplari ci guida in questo viaggio tra Italia, Oriente bizantino e penisola balcanica
Intorno alla metà del VI secolo, fa la sua comparsa il motivo iconografico della Trasfigurazione di Cristo: l’episodio evangelico - parte del Dodekaorton bizantino - si svolge sul monte Tabor, alla presenza dei profeti Mosè e Elia e di Pietro, Giacomo e Giovanni. Se il mosaico ravennate di Sant’Apollinare in Classe è capostipite di una tradizione che raffigura simbolicamente il racconto, nell’abside di Santa Caterina al Monte Sinai viene fissato invece il canone per la sua rappresentazione in chiave narrativa: fulcro è il corpus gloriosum di Cristo che rifulge come il sole, mentre gli apostoli sono figurati in gesti di stupore calmo e sospeso
Il codice figurativo precocemente fissato nelle officine imperiali di Costantinopoli sembra evolvere, nel fermento della tarda età comnena, verso una più sentita volontà di indagare la reazione di paura che, secondo il racconto evangelico, gli apostoli provarono alla vista del Cristo trasfigurato. Giacomo e Giovanni, bruscamente risvegliati dalla luce abbagliante, si coprono il viso, mentre solo Pietro osa guardare quel che accade sulla cima del monte. La maniera grafica e ancora astrattamente composta di rendere questo repertorio emotivo prevale anche nelle applicazioni occidentali del motivo, testimoniando l’unità della cultura figurativa comnena i cui echi metropolitani arrivano sino alla Sicilia normanna
La perdita del ruolo normativo di Costantinopoli a seguito degli avvicendamenti storici e politici che caratterizzarono il XIII secolo, è premessa per la fioritura artistica del periodo protopaleologo, caratterizzato da un incremento nel volume degli scambi di opere e conoscenze tra mondo greco e Occidente latino. In questo contesto matura ciò che Belting ha definito lingua franca: una nuova visione figurativa, più sciolta, espressiva e plastica, che - con il fondamentale apporto delle elaborazioni macedoni e balcaniche - porterà a un’ulteriore evoluzione dell’iconografia della Trasfigurazione. Nuovo fulcro sono proprio i tre apostoli, vivificati da reazioni emotive e fisiche scomposte ed esasperate, su cui poi si specializzerà la produzione costantinopolitana ben oltre il XIV secolo
Una rassegna interattiva delle trentacinque opere scelte. Seleziona due immagini dalla gallery sottostante per vederne un ingrandimento affiancato e poterne così apprezzare il confronto
Un itinerario interattivo che, a partire dal corpus selezionato, descrive la trasmigrazione del motivo iconografico scelto. La sequenza di opere - ordinate in senso strettamente cronologico e non legate tra loro da rapporti di filiazione diretta - ben evidenzia l’andamento tutt’altro che regolare e univoco di questo scambio artistico tra Oriente e Occidente, esaltandone piuttosto il carattere polifonico e policentrico
Una visualizzazione interattiva che consente di apprezzare il luogo di produzione delle singole opere nonché lo spazio politico che le ha viste nascere, secondo una linea temporale articolata intorno a tre date fondamentali: 1185 (fine della dinastia comnena); 1204 (inizio dell’Impero latino d’Oriente); 1261 (riconquista paleologa di Costantinopoli)